IL DIRITTO DI SATIRA

Saldamente ancorata ad una tradizione millenaria, la satira costituisce la più graffiante delle manifestazioni artistiche. Basata su sarcasmo, ironia, trasgressione, dissacrazione e paradosso, verte preferibilmente su temi di attualità, scegliendo come bersaglio privilegiato i potenti di turno. Anzi, più in alto si colloca il destinatario del messaggio satirico, maggiore è l’interesse manifestato dal pubblico. Quella politica, infatti, è di gran lunga il tipo di satira che raccoglie maggiore interesse e consenso presso ogni collettività.

Essendo una forma d’arte, il diritto di satira trova riconoscimento nell’art. 33 Cost., che sancisce la libertà dell’arte. Ma è una forma d’arte particolare. Il contenuto tipico del messaggio satirico è lo sbeffeggiamento del suo destinatario, che viene collocato in una dimensione spesso grottesca. La satira mette alla berlina il personaggio al di sopra di tutti, l’intoccabile per definizione. Esalta i difetti dell’uomo pubblico ponendolo sullo stesso piano dell’uomo medio. Da questo punto di vista, la satira è un formidabile veicolo di democrazia, perché diventa applicazione del principio di uguaglianza. Non a caso è tollerata persino nei sistemi autoritari, fortemente motivati a mostrare il volto “umano” del regime.

Ma proprio perché trova la sua ragion d’essere nello sminuimento del soggetto preso di mira, il messaggio satirico può entrare in conflitto con i diritti costituzionali all’onore, al decoro, alla reputazione, etc. Dunque anche qui, come per la cronaca e la critica, occorre procedere ad un bilanciamento degli interessi in conflitto. Bilanciamento che dovrà tenere conto delle peculiarità dell’opera satirica.

Peculiarità che fanno dell’interesse pubblico, riferito al personaggio rappresentato, il solo parametro di valutazione della legittimità della satira. Con un significato diverso, più ampio rispetto a quello assunto nella cronaca e nella critica. Il termine “interesse pubblico” viene qui adoperato al solo scopo di identificare il problema, poiché mal si concilia con la funzione della satira, che non è quella di fornire “notizie”.

Difatti, la giurisprudenza preferisce parlare di qualità della dimensione pubblica del personaggio, relazionandola al contenuto artistico espressivo del messaggio satirico. La satira è lecita se tra i due termini sussiste un nesso di coerenza causale. Si tratta di chiarire cosa debba intendersi per “qualità della dimensione pubblica” del personaggio e per “nesso di coerenza causale”.

La qualità della dimensione pubblica del personaggio va vista come un enorme contenitore dal quale l’artista può liberamente attingere per creare il contenuto dell’opera satirica. In questo enorme contenitore sono raccolti i frammenti che compongono il personaggio, ossia tutte le informazioni di sé che il personaggio, volente o nolente, ha visto fornire al pubblico: le sue fattezze fisiche, la sua mimica facciale, la sua voce, i suoi tic, le sue dichiarazioni, i suoi comportamenti in pubblico, le sue gaffes, i suoi guai giudiziari; e persino i pettegolezzi sul suo conto, se di dominio pubblico. Ebbene, la satira restituisce al pubblico quelle informazioni, quei frammenti, dopo averli mescolati, interpretati, enfatizzati, distorti. In questo modo la loro riproposizione (ossia il contenuto del messaggio satirico) è in coerenza causale con la qualità della dimensione pubblica del personaggio preso di mira. Ed è irrilevante che alcune delle informazioni che confluiscono nel contenitore del personaggio pubblico siano false: la satira non agisce su fatti, ma sulla dimensione pubblica acquisita da un personaggio, che potrebbe non corrispondere a quella reale.

Il significato del “nesso di coerenza causale” tra la qualità della dimensione pubblica del personaggio e il contenuto del messaggio satirico viene meglio colto descrivendo la differenza tra la satira da un lato, la cronaca e la critica dall’altro. La cronaca si incarica di raccogliere uno ad uno quei frammenti dalla realtà (o presunta tale) ed inserirli inalterati, allo stato puro, nel contenitore, man mano delineando la dimensione pubblica del personaggio. La critica esprime un giudizio su uno o più frammenti inseriti nel contenitore, dopo un’attenta osservazione. La satira seleziona alcuni di quei frammenti, ci scolpisce e disegna sopra. Ed è proprio questa attività artistica e artigianale ad essere tutelata dall’art. 33 Cost.

L’intensità del nesso di coerenza causale dipenderà dal grado di “lavorazione” di quei frammenti. Più l’autore interverrà sui frammenti tratti dal contenitore deformando le informazioni sul personaggio (ossia discostandosi dal dato reale o presunto tale), più debole sarà il nesso. E ad una minore lavorazione di quei frammenti corrisponderà, invece, un rafforzamento di quel nesso, che tenderà a far aderire il contenuto del messaggio satirico alla realtà (o presunta tale).

L’importante è che i frammenti “lavorati” dalla satira siano stati prelevati dal contenitore del personaggio pubblico. Non sarebbe lecita quella satira che agisse su frammenti “estranei” al contenitore. Per fare un esempio, si pensi alla satira su un personaggio del calibro di Silvio Berlusconi, il cui contenitore è certamente molto voluminoso. E’ difficile fare esempi di satira illecita su Berlusconi, poiché i frammenti su cui lavorare sono numerosissimi. Provandoci, non sarebbe lecito ritrarlo oggi mentre si gioca la moglie in una partita a carte, poiché difetterebbe il nesso di coerenza causale. Ma la gag diverrebbe lecita se domani, per ipotesi, si venisse a sapere del suo tentativo, seppure scherzoso, di ingraziarsi il premier di uno Stato estero offrendogli la compagnia della moglie, nella speranza di poter entrare nel progetto di privatizzazione della televisione pubblica di quello Stato. Ciò che nella satira viene legittimamente rappresentato, nella cronaca o nella critica diverrebbe ingenua e clamorosa diffamazione.

Tuttavia, a volte la lavorazione è così accurata da dare l’impressione che l’autore non abbia adoperato frammenti raccolti dal contenitore e che abbia inserito nel messaggio satirico informazioni nuove. Il problema della legittimità della satira è tutto qui. Bisogna cioè prestare la massima attenzione e verificare se il contenuto del messaggio satirico sia il prodotto della lavorazione di frammenti presenti nel contenitore, oppure il risultato dell’inserimento di un frammento estraneo che, in quanto tale, non può garantire al messaggio alcuna coerenza causale con il personaggio pubblico.

E’ chiaro, quindi, che la creatività adoperata dall’autore satirico nel lavorare i frammenti presenti nel contenitore va tutta a suo rischio e pericolo. Un’eccessiva lavorazione potrebbe non essere compresa dal pubblico, ma soprattutto dal giudice, che potrebbe non scorgere il nesso di coerenza causale, scambiando i frammenti prelevati dal contenitore e lavorati dall’autore per frammenti estranei, e rinvenendo così gli estremi della diffamazione.

A maggior ragione, la satira non può pescare in un contenitore vuoto. Non può prendere di mira soggetti privi di dimensione pubblica. Nessuna gag soddisferebbe il requisito di coerenza causale laddove non esiste il “personaggio”. Qui la satira utilizzerebbe frammenti, informazioni che necessariamente rientrano nella sfera privata di un soggetto, o rinuncerebbe ai contenuti limitandosi a strumentalizzare il nome o le sembianze di quel soggetto, che si vedrebbe leso in entrambi i casi quantomeno nel proprio diritto alla riservatezza. Allo stesso modo, non potrebbe ritenersi lecita la satira su un personaggio pubblico che utilizzasse informazioni rientranti nella sua sfera privata e non di dominio pubblico. Neanche qui sussisterebbe il nesso di coerenza causale, poiché la sfera privata del personaggio pubblico è intangibile quanto quella della persona anonima.

Quanto detto porta alla conseguenza più importante: nella satira non esiste l’obbligo di rispettare la verità dei fatti. Anzi, caratteristica principale della satira è proprio la deformazione della realtà, la sua rappresentazione in termini paradossali, a cominciare dalle vignette caricaturali e dalle maschere sceniche che stravolgono i (reali) tratti somatici dei personaggi noti. Parte della satira di Gene Gnocchi si basa sulla attribuzione a personaggi reali di specifici fatti clamorosamente falsi, la cui narrazione è sempre accompagnata dal suo ostentato sforzo di renderli credibili.

Ciò non toglie, però, che l’autore possa, per libera scelta artistica, basare il contenuto artistico espressivo dell’opera satirica sulla verità dei fatti, rinunciando ai più ampi spazi creativi che il ricorso al concetto di coerenza causale gli garantirebbe. E’ la cosiddetta “satira verità”, spesso creata a fini di denuncia sociale, che poggiando sulla verità dei fatti è al contempo espressione della libertà di pensiero di cui all’art. 21 Cost. Rinunciando allo stravolgimento dei fatti, la “satira verità” è, giuridicamente parlando, una forma di satira a basso rischio di lesività, proprio perché trattiene le potenzialità insite nella satira tradizionale.

La satira verità non va assolutamente confusa con la “satira informativa”. Sono due concetti distinti e con funzioni diversissime, ma che in alcuni ambienti retrivi si tende ad assimilare a fini di censura. Si dirà in seguito della differenza tra Satira verità e satira informativa. Qui basti precisare che la decisione di aderire alla realtà, o di stravolgerla, rientra nella facoltà di scelta artistica dell’autore, insindacabile ex art. 33 Cost. Perché la satira verità, in quanto arte, non risponde ad esigenze informative.

D’altra parte, che la satira non debba essere vincolata al rispetto del requisito della verità lo impone anche una considerazione di ordine logico. La satira interviene a contenitore già riempito, ossia a dimensione pubblica acquisita. Interviene su quegli aspetti del personaggio che, grazie alla cronaca, sono ormai di dominio pubblico. Il rapporto della satira con il fatto è mediato dalla cronaca, poiché la qualità della dimensione pubblica del personaggio preesiste al messaggio satirico. L’eventuale obbligo di rispettare la verità dei fatti costringerebbe l’autore satirico a compiere quella attività di ricerca e di verifica delle fonti che spetta al giornalista, dando luogo così ad una paradossale confusione di ruoli.

Così, agirà pur sempre nei limiti del diritto di satira l’autore che utilizzi frammenti presenti nel contenitore (ossia informazioni di dominio pubblico) ma inserite illecitamente perché non vere o prive di interesse pubblico secondo i principi generali del diritto di cronaca. Ipotesi, peraltro, piuttosto teorica, poiché bisognerebbe immaginare uno spiegamento di forze mediatiche che, commettendo il medesimo errore, creino ex novo una dimensione pubblica o quantomeno ne distorgano la qualità.

La dimensione pubblica del personaggio, ossia la capienza del contenitore da cui l’autore satirico attinge per le sue creazioni, dipende da vari fattori. Principalmente dal ruolo pubblico e dal comportamento del soggetto. E’ il politico il miglior ispiratore della satira, poiché, essendo un soggetto ad alta dimensione pubblica, fornisce all’autore ampia libertà nella creazione di contenuti in coerenza causale con essa. E’ dunque nella satira politica che l’autore può meglio liberare la propria creatività. Tra l’altro, è un particolare atteggiarsi dell’uomo politico a renderlo bersaglio privilegiato della satira. Non è un caso, ad esempio, che Silvio Berlusconi, durante la sua lunga permanenza a Palazzo Chigi, sia stato conteso da vari autori satirici. Non certo per una loro presunta riconducibilità a determinate posizioni politiche, ma semplicemente per le opportunità creative garantite dall’ampiezza e dalla costante caratterizzazione della sua dimensione pubblica.

La libertà di creazione sfuma man mano che l’autore predilige figure “a basso profilo”. Con questo “scendere”, infatti, l’autore satirico si confronta con dimensioni pubbliche sempre più povere, che garantiscono contenuti satirici tendenzialmente monotematici. Il presentatore Rai Luca Giurato viene preso di mira da “Striscia la notizia” con micidiale frequenza, ma solo per gli strafalcioni grammaticali e la scarsa concentrazione che manifesta nella conduzione dei suoi programmi. Il contributo che Antonio Zequila (detto anche “Er mutanda”) e quelli come lui apportano alla satira deriva solo dalle loro sporadiche esibizioni trash in televisione. Stessa cosa per la satira della “Gialappa’s Band” quando verte sui protagonisti di reality come “Il Grande Fratello” e simili.

Si tratta, cioè, di personaggi a dimensione pubblica evanescente, che stimola una satira di scarsi contenuti (ma che tuttavia può risultare piacevole), in cui prevale la mera riproposizione al pubblico del comportamento di soggetti che in sostanza fanno il verso a sé stessi e che occasionano la satira per il solo fatto di mostrarsi in video. E’ una satira di tipo parassitario, dal contenuto prevedibile, costretta a reiterare il solo messaggio in grado di porsi in coerenza causale con la qualità della dimensione pubblica del soggetto preso di mira.

Ma è possibile che la satira, anziché attingere dal contenitore di un personaggio pubblico esistente, crei essa stessa il personaggio e ne alimenti nel tempo la dimensione pubblica. Si ricorderà il “caso Randine”, occasionato da una trasmissione de “Le Iene” dell’autunno 2000. Enrico Lucci, recatosi in una discoteca romana frequentata da vip in credito col successo, si imbatteva nello sconosciuto Tony Randine, sedicente “nobile modello attore amico di Confalonieri”, al quale concedeva una spassosa intervista. Grazie anche alla sua magistrale ironia, con quell’intervista Enrico Lucci lanciava il personaggio di Tony Randine, che nei mesi a venire verrà impietosamente bersagliato da “Le Iene” e dallo stesso Lucci come simbolo della vacuità. Si arriverà persino all’incisione di un CD musicale: il “Randidance”.

Per il “caso Randine” non ha senso parlare di nesso di coerenza causale, poiché il concetto implica la preesistenza della dimensione pubblica rispetto alla creazione della satira. Qui, invece, il rapporto è rovesciato. E’ la dimensione pubblica di Tony Randine ad essere stata creata e alimentata dalla satira de “Le Iene”, a partire dalla iniziale gag nella discoteca romana. Tony Randine esisteva solo nella misura in cui confluiva nel contenuto della satira de “Le Iene”.

L’insistenza di Tony Randine nel richiedere la prima intervista nella discoteca romana, insieme al suo atteggiamento tipico di chi cerca notorietà (quindi dimensione pubblica), ha senza dubbio determinato la legittimità della successiva satira, il cui contenuto era in gran parte ritagliato proprio su quell’atteggiamento. Conclusioni opposte andrebbero tratte se l’intervista fosse stata “strappata” a Tony Randine e su quell’episodio si fossero inserite le successive gag. Ponendolo prepotentemente all’attenzione del pubblico, “Le Iene” avrebbero violato il suo diritto alla riservatezza.

A volte la televisione offre un tipo di satira dove il nesso di coerenza causale è del tutto mancante. E’ il caso di “Scherzi a parte”, la trasmissione di Canale5 che escogita le gag più assurde ai danni e all’insaputa di personaggi noti. Qui il contenuto del messaggio satirico non manifesta alcuna coerenza causale con la qualità della dimensione pubblica del personaggio, essendone completamente avulso. Vi è la mera strumentalizzazione della notorietà del personaggio per catturare l’attenzione del telespettatore. Le gag non sono in alcun modo ricollegabili alla sua dimensione pubblica, attenendo invece alla sua sfera privata, identica a quella di qualsiasi sconosciuto. La messa in onda delle immagini senza il consenso del soggetto preso di mira darebbe luogo ad una violazione del diritto alla riservatezza.

Infine, la pretesa che la satira si conformi al requisito della continenza formale non potrebbe avere alcun senso. Per sua natura, la satira trasgredisce soprattutto attraverso il linguaggio. E se la continenza formale riguarda tipicamente le modalità espressive, una sua applicazione alla satira si risolverebbe nella totale negazione di quell’arte.

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